Idroponica per coltivare (in) futuro, tra “pro” e “contro”

una nutrizionista per amica

Seconda parte

 

Eccoci alla seconda parte del nostro articolo…; ci siamo lasciati con questa domanda.. “ma sarà tutto positivo in questo metodo di coltivazione del futuro che è già arrivato? “ In realtà alcuni aspetti problematici ci sono  e non riguardano tanto la qualità di ciò che viene prodotto quanto costi, aspetti biologici, variazioni dello sviluppo dei meccanismi adattogeni della pianta. Da un punto di vista economico, le serre per le colture idroponiche sono sistemi abbastanza sofisticati, all’interno dei quali sono necessari dispositivi per il controllo e la stabilizzazione di parametri chimico-fisici, quali temperatura, umidità, luce. Dunque sistemi dove niente può o deve essere lasciato al caso, pena la deriva della coltura con relative conseguenze sulla salute delle piante ed efficienza produttiva. Tutto ciò implica costi di gestione mediamente superiori a quelli di una coltivazione in campo seppure si possono distinguere serre con prestazioni (e quindi anche costi) molto diversificati ed inoltre viene meno il fattore “rischio perdita” legato alle imponderabili variazioni climatiche che la coltura all’aperto comporta. Oltre a questo alcuni aspetti riguardano il ciclo di sviluppo della pianta e le sue capacità di stabilire ed instaurare meccanismi di difesa nei confronti degli agenti patogeni. In realtà quello che accade è che la “forzatura” di trovarsi svincolata dall’ambiente del terreno e quindi dalla coesistenza con una ampia gamma di microrganismi residenti nel suo stesso habitat, determina per la pianta la perdita delle capacità adattative ed immunitarie rispetto ad agenti avversi di vario tipo. L’apparato radicale esprime una maggiore suscettibilità ad essere attaccato ed infestato e ciò è comprensibile nella misura in cui si azzera la pressione dell’ ambientale sullo sviluppo di competenze difensive. Questo aspetto è di carattere generale, non riguarda direttamente o strettamente la  capacità produttiva della pianta ma la sua biologia, la possibilità cioè di mantenere, in condizioni particolari, una funzione fisiologica così come la Natura l’ha preservata nel corso dell’ evoluzione. Potremmo dire che, anche in questo caso, si realizza una perdita, seppure parziale, di biodiversità. Conseguenza di ciò è anche la maggiore facilità con cui le colture idroponiche, complice la abbondante presenza di acqua come unico mezzo nutritivo, possono essere esposte ad epidemie di inquinanti che se non attentamente sorvegliate diffondono in breve tempo a macchia d’olio mandando a morte o a distruzione l’intera piantagione. L’ultimo aspetto su cui ci soffermiamo e forse anche il più suggestivo, è la questione del gusto dei prodotti derivati da coltivazione idroponica. Non è riscontrata una differenza apprezzabile e significativa tra la procedura idroponica rispetto a quella in campo e da un certo punto di vista questo è ragionevole. Malgrado ciò è altrettanto ragionevole chiedersi se la nostra abilità a miscelare sali nutrienti, ormoni, ore di luce e sua intensità, possa eguagliare le infinite miscele che cielo e terra delle varie zone geografiche è in grado di produrre. Suoli arricchiti dei minerali più vari, irrigati o meno dalla presenza di acqua di qualità anch’essa diversificata, più dura meno dura, più scarsa, meno scarsa, creano una gamma infinita di combinazioni molecolari da cui scaturiscono proprietà organolettiche tipiche del panorama agroalimentare. Noi in Italia ne sappiamo qualcosa… ; e non parliamo poi del calore e della luce del sole sempre diversa, che potenzia lo sviluppo imprevedibile di polifenoli, vitamine, clorofilla, zuccheri. Si, io credo che la Natura e i suoi prodigi restino un’altra cosa, un mondo a parte di ricchezza ineguagliabile perchè dominato dalla variabilità e non dalla standardizzazione che è l’esatto opposto. E tuttavia dobbiamo accettare il fatto che qualche compromesso è necessario per andare avanti… buona settimana !

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